Sanoja: Offlaga Disco Pax. Venti Minuti.
Mio padre e morto dopo 54 anni complicati
e un nome difficile da portare come un sorriso mai segnato da dubbi
non andavamo d'accordo
invecchiando trovo in me particolari di lui, alla mia eta di adesso:
qualche segno delle mani, un'espressione allo specchio, un tono di voce
questa cosa non mi piace per niente
da quando se ne e andato ho un'eredita natalizia:
aveva un amico, un milanese conosciuto al servizio militare in Friuli
nei loro vent'anni
era l'inizio degli anni '60 e devono essere stati momenti di grande condivisione
e scoperta del mondo.
Questo tizio io l'ho visto solo due volte, da bambino
gente che aveva piu borghesia e piu boria di noi
L'ho reincontrato, quell'amico lontano, solo davanti al letto di mio padre morente.
Da allora quell'uomo ha deciso
che io sono mio padre
Ogni anno, la vigilia di Natale, chiama,
parla con me, venti minuti, di cose che non so
e di un periodo in cui non ero ancora nato.
Ha il tono cameratesco che usava con lui
e si sbaglia perfino a chiamarmi per nome.
Mi dice "ti ricordi quello li? quella la?"
esattamente come fossi lui.
Non ho mai condiviso le scelte di mio padre
l'ho odiato cordialmente.
Da sempre.
Ora che non c'e piu, sono sereno.
Ho risolto le cose che avevo in sospeso.
Ma ogni anno sento una voce che parla di lui come una persona meravigliosa
e ne parla come non ne ho mai sentito parlare.
Non lo riconosco in quelle storie di amicizia
durata oltre la naturale scadenza.
Resto in silenzio davanti alla devozione di un signore che mi e estraneo.
Che chiama ogni tanto, da molto lontano.
E per pochissimo tempo.
E' una devozione che non e nemmeno paragonabile alla mia.
Che e quasi assente.
Venti minuti.
Non uno di piu.
Anche stamattina.
Parla. Racconta. Quasi piange.
Si congeda e mi chiama col suo nome.
Poi si corregge. Mette giu.
Non era con me che voleva parlare.
Non era di me che aveva bisogno.
Mio padre, per tanto tempo,
mi ha telefonato solo una volta all'anno.
La vigilia di Natale.
Era l'unico gesto che si sentiva di fare nei miei riguardi,
vista l'evidente ostilita che gli riservavo.
Quella telefonata, fatta da nove chilometri,
freddi e distanti quanto lo stretto di Bering,
gli costava molto.
Ma non se la negava mai.
Un punto d'onore.
"Ciao figlio, tuo padre sta bene.
Fatti sentire ogni tanto.
Come sta tua madre?
Valla a trovare.
Almeno lei.
Ciao figlio, buon Natale"
Per uno come Metuccio, doveva essere uno sforzo grandissimo.
Ultraterreno.
Talmente grande che ancora non si e esaurito del tutto.
(Grazie a mk per questo testo)
e un nome difficile da portare come un sorriso mai segnato da dubbi
non andavamo d'accordo
invecchiando trovo in me particolari di lui, alla mia eta di adesso:
qualche segno delle mani, un'espressione allo specchio, un tono di voce
questa cosa non mi piace per niente
da quando se ne e andato ho un'eredita natalizia:
aveva un amico, un milanese conosciuto al servizio militare in Friuli
nei loro vent'anni
era l'inizio degli anni '60 e devono essere stati momenti di grande condivisione
e scoperta del mondo.
Questo tizio io l'ho visto solo due volte, da bambino
gente che aveva piu borghesia e piu boria di noi
L'ho reincontrato, quell'amico lontano, solo davanti al letto di mio padre morente.
Da allora quell'uomo ha deciso
che io sono mio padre
Ogni anno, la vigilia di Natale, chiama,
parla con me, venti minuti, di cose che non so
e di un periodo in cui non ero ancora nato.
Ha il tono cameratesco che usava con lui
e si sbaglia perfino a chiamarmi per nome.
Mi dice "ti ricordi quello li? quella la?"
esattamente come fossi lui.
Non ho mai condiviso le scelte di mio padre
l'ho odiato cordialmente.
Da sempre.
Ora che non c'e piu, sono sereno.
Ho risolto le cose che avevo in sospeso.
Ma ogni anno sento una voce che parla di lui come una persona meravigliosa
e ne parla come non ne ho mai sentito parlare.
Non lo riconosco in quelle storie di amicizia
durata oltre la naturale scadenza.
Resto in silenzio davanti alla devozione di un signore che mi e estraneo.
Che chiama ogni tanto, da molto lontano.
E per pochissimo tempo.
E' una devozione che non e nemmeno paragonabile alla mia.
Che e quasi assente.
Venti minuti.
Non uno di piu.
Anche stamattina.
Parla. Racconta. Quasi piange.
Si congeda e mi chiama col suo nome.
Poi si corregge. Mette giu.
Non era con me che voleva parlare.
Non era di me che aveva bisogno.
Mio padre, per tanto tempo,
mi ha telefonato solo una volta all'anno.
La vigilia di Natale.
Era l'unico gesto che si sentiva di fare nei miei riguardi,
vista l'evidente ostilita che gli riservavo.
Quella telefonata, fatta da nove chilometri,
freddi e distanti quanto lo stretto di Bering,
gli costava molto.
Ma non se la negava mai.
Un punto d'onore.
"Ciao figlio, tuo padre sta bene.
Fatti sentire ogni tanto.
Come sta tua madre?
Valla a trovare.
Almeno lei.
Ciao figlio, buon Natale"
Per uno come Metuccio, doveva essere uno sforzo grandissimo.
Ultraterreno.
Talmente grande che ancora non si e esaurito del tutto.
(Grazie a mk per questo testo)
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